Riflessioni sulle Encicliche sociali: 1 – La “Rerum Novarum” di Leone XIII

Da quando Papa Leone XIII emanò la Rerum Novarum, il 15 maggio 1891, il mondo del lavoro è molto cambiato. Ma i diritti dei lavoratori hanno ancora bisogno di essere tutelati, ancor più quando la finanza vuole prendere il sopravvento sull’economia. Si stima che le 1.000 persone più ricche del mondo hanno recuperato in appena nove mesi tutte le perdite che avevano accumulato per l’emergenza Covid-19. 

I più poveri, invece, potrebbero impiegare più di 10 anni per recuperare le perdite subite. Stiamo vivendo un tempo nuovo, in una economia globalizzata che pone sempre il profitto al di sopra del mercato e dei diritti. 

Ricchezza e povertà

Nella Rerum Novarum si ricorda che è il buono o il cattivo uso dei beni il fattore determinante, la discriminante che in ogni tempo, come in questo segnato dalla pandemia, separa l’egoismo dalla fraternità. “Le ricchezze non liberano dal dolore”“Chi ha dunque ingegno – ricorda Papa Leone XIII – citando San Gregorio Magno  “badi di non tacere; chi ha abbondanza di roba, si guardi dall’essere troppo duro di mano nell’esercizio della misericordia; chi ha un’arte per vivere, ne partecipi al prossimo l’uso e l’utilità”.

Sono parole di tempi lontani, scritte a cavallo tra due secoli, che fotografano anche gli attuali squilibri del mondo e indicano vie anche oggi auspicate da Papa Francesco come quelle della “solidarietà e della sussidiarietà”. L’enciclica di Leone XIII non ricorda solo la vera utilità delle ricchezze, ma anche i “vantaggi della povertà”“La virtù è patrimonio comune, conseguibile ugualmente dai grandi e dai piccoli, dai ricchi e dai proletari”.

Gesù Cristo chiama beati i poveri e abbraccia con atto di carità specialissima i deboli e i perseguitati.

“Queste verità – si legge nell’enciclica –sono molto efficaci ad abbassar l’orgoglio dei fortunati, a togliere dall’avvilimento i miseri, ad ispirare indulgenza negli uni e modestia negli altri”.

Fraternità cristiana

Nella Rerum Novarum si sottolinea anche che tutti gli uomini “sono congiunti col vincolo di una santa fraternità”. Vivere la fraternità significa comprendere che “I beni di natura e di grazia sono patrimonio comune del genere umano. … Se tutti sono figlisono anche eredi di Gesù Cristo”. Lo stesso ideale indicato da Papa Francesco nell’enciclica Fratelli, tutti, quello di una fratellanza umana “che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali”. 

Lo sguardo della Chiesa non è solo rivolto verso la vita eterna. È anche immerso nel mondo. “Né si creda – si legge ancora–“che le premure della Chiesa siano così interamente e unicamente rivolte alla salvezza delle anime, da trascurare ciò che appartiene alla vita morale e terrena. Ella vuole e procura che soprattutto i proletari emergano dal loro infelice stato, e migliorino la condizione di vita”.

Il tempo del lavoro e del riposo

Migliorare le condizioni di vita e rendere il lavoro più dignitoso sono alcune delle priorità indicate dalla Rerum Novarum. Tra le pietre miliari del tracciato dell’enciclica ci sono anche il bene comune e il bene degli operai. Viene esplorata, in tutte le sue articolazioni sociali, la questione operaia. Papa Pecci si sofferma, in particolare, sulle difficili condizioni di lavoro degli operai delle industrie. “Non è giusto né umano – scrive Leone XIII – esigere dall’uomo tanto lavoro da farne inebetire la mente per troppa fatica e da fiaccarne il corpo”.

“Non deve dunque il lavoro prolungarsi più di quanto lo comportino le forze”. Nell’enciclica viene anche affrontata la questione del salario che “non deve essere inferiore al sostentamento dell’operaio”.

 

 

La via della carità

Il tema centrale dell’enciclica è quello dell’instaurazione di un ordine sociale giusto. E nella parte conclusiva indica la strada da imboccare: quella della carità. “Ciascuno faccia la parte che gli spetta e non indugi, perché il ritardo potrebbe rendere più difficile la cura di un male già tanto grave. I governi vi si adoperino con buone leggi e saggi provvedimenti; i capitalisti e padroni abbiano sempre presenti i loro doveri; i proletari, che vi sono direttamente interessati, facciano, nei limiti del giusto, quanto possono”.

“Quanto alla Chiesa, essa non lascerà mancare mai e in nessun modo l’opera sua”.“La salvezza desiderata – scrive ancora Papa Leone XIII – dev’essere principalmente frutto di una effusione di carità; intendiamo dire quella carità cristiana che compendia in sé tutto il Vangelo e che, pronta sempre a sacrificarsi per il prossimo, è il più sicuro antidoto contro l’orgoglio e l’egoismo del secolo”. 

Leone XIII, che affidò il suo pontificato a San Tommaso, rinnovò la Chiesa, ponendola di fronte alle cose nuove, in un’epoca di forte scristianizzazione.Con la sua enciclica sociale favorì la nascita e lo sviluppo di movimenti aperti alla dimensione sociale e politica, sia all’interno sia all’esterno delle istituzioni: emblematica è stata l’esperienza italiana, in quanto la soluzione della questione romana aveva di fatto portato i cattolici ad autoescludersi dalla vita politica.

La Rerum Novarum produsse un movimentismo civile che raggiunse il suo apice nel 1919, con la fondazione del Partito Popolare Italiano ad opera di don Luigi Sturzo. Diede nuovo slancio all’impegno dei cattolici nel campo del volontariato e contribuì alla fondazione di associazioni di lavoratori, cooperative, banche rurali, fino a giungere alla fondazione di partiti politici ispirati al cattolicesimo sociale. Tra gli altri, è stato l’economista Joseph Schumpeter a registrare come «il cattolicesimo politico sorse dalla rinascita del cattolicesimo religioso». Credo sia proprio quest’ultima affermazione di Schumpeter a indicarci il metodo della Rerum Novarum e le ragioni del suo successo: “fu la rinascita della dimensione religiosa che animò l’impegno politico e non il contrario”.

La Rerum Novarum è scritta prima dell’avvento dei regimi totalitari, ma indica chiaramente perché fallisce il marxismo. 

Le ragioni per le quali la proposta socialista andava del tutto rigettata sono presentate nel capitolo «Il socialismo come falso rimedio», nel quale Leone XIII usa il termine socialismo in un’accezione ampia, tale da poter essere compresa dai cattolici dell’Europa e dal resto del mondo, anche perché bisogna ricordare che le economie miste e il welfarestate non erano ancora neppure pensabili, e che la propaganda sindacale dei partiti socialisti oscillava tra un socialismo gradualista e un comunismo radicale. Leone XIII non ne vedrà il fallimento, ma coglie l’inconsistenza e l’inefficacia delle soluzioni proposte, dal momento che nuocciono proprio a coloro ai quali intendono recare soccorso: “l’abolizione della proprietà privata, la negazione del diritto all’iniziativa economica e il non riconoscimento delle doti individuali finiscono per promuovere gli interessi di chi detiene la rendita e impediscono la mobilità sociale.

L’economia di mercato può accordarsi con i principi cristiani?

Papa Leone XIII non solo criticò il socialismo, raccomandandone la riforma, ma lo condannò! Nello stesso tempo fu indiscutibilmente critico rispetto al liberalismo.

Sebbene la critica sia stata severa e rigorosa, l’atteggiamento del Papa di fronte al liberalismo fu sostanzialmente diverso.

Dobbiamo attendere la “Centesimus annus”di Papa Giovanni Paolo II nella quale si affronta il tema del liberismo, con riferimento diretto a categorie quali «l’impresa e il mercato», «l’economia d’impresa», «l’economia di mercato», «l’economia libera».

La condizione è che il «ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, della libertà, del mercato, della creatività e del diritto di proprietà sia inquadrato in un solido contesto giuridico, il cui fondamento sia l’intangibile dignità della persona».

(Fonte: Flavio Felice, ordinario di Dottrine Economiche e Politiche alla Pontificia Università Lateranense)

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