Non serve frequentare largamente la spiritualità di san Francesco per intuire quale valore e quale venerazione egli riservava per tutto ciò che riguardava il Cristo, tanto più se si trattava della Sua reale presenza mediata a noi dai Sacramenti (in primis l’Eucaristia) e dalla Parola di Dio. Più volte noi stessi ci siamo imbattuti in tale sensibilità, nel corso di questi mesi. Pertanto non dovrebbe destare stupore se, all’interno di una delle biografie sul santo di Assisi (la “Vita Seconda” scritta da Tommaso da Celano), incappiamo in un breve paragrafo circa quelle che secondo il Po- verello dovevano essere le qualità del predicatore: voleva infatti che i ministri della parola di Dio attendessero agli studi sacri e non fossero impediti da nessun altro impegno. Inoltre «il predicatore – diceva – deve prima attingere nel segreto della preghiera ciò che poi riverserà nei discorsi. Prima deve riscaldarsi interiormente, per non proferire all’esterno fredde parole». «È un ufficio, sottolineava, degno di riverenza, e tutti devono venerare quelli che lo esercitano. [..] Riteneva poi i dottori in sacra teologia degni di particolari onori».
Niente di nuovo, dunque, se non fosse per la meraviglia di notare che il biografo decide di chiudere la sezione riportando il fatto che Francesco avrebbe scritto una lettera «al beato Antonio».
Tommaso da Celano ne cita persino l’incipit: «A frate Antonio, mio vescovo». La sorpresa nasce allora dal poter giustamente dare credito a questa notizia: la storia effettivamente ci ha consegnato, tra gli scritti di san Francesco, un piccolo biglietto indirizzato proprio ad un confratello teologo che poi, nel 1232, il mondo avrebbe conosciuto come S. Antonio di Padova. Riportiamo la lettera nella sua brevità:
«A frate Antonio, mio vescovo, frate Francesco augura salute. Ho piacere che tu insegni la sacra teologia ai frati, purché in questa occupazione tu non estingua lo spirito dell’orazione e della devozione, come è scritto nella Regola.»
Tralasciando l’appellativo onorifico con il quale Francesco si rivolge ad Antonio (quest’ultimo non fu mai realmente Vescovo!), vorrei soffermarmi con semplicità su quello che mi sembra il cuore della lettera. Confermando l’insegnamento accademico – che rivela nuovamente l’onore e la venerazione attribuite alle “santissime parole divine” e dunque nei confronti di coloro che “ci amministrano lo spirito e la vita” – l’assisano consegna all’altro frate un richiamo molto significativo: attenzione affinché non si spenga lo spirito della santa orazione e devozione.
Detto altrimenti, il Poverello si preoccupa che il fratello non esaurisca la sua personale relazione con l’Altissimo (il suo pregare incessantemente, per usare le parole di S. Paolo) a causa del lavoro affidatogli.
Prima di tutto Dio, la preghiera, e poi il resto, sembra richiamare Francesco. O meglio: dentro tutto ciò che fai, attraverso tutte le cose temporali, vi sia la possibilità di “servire” la preghiera e l’affetto per il Signore. Partendo dallo sguardo di Francesco per le “cose di Dio” e il loro studio (teologia), passando dentro questa epistola capace di lasciare intravedere la sua consueta franchezza evangelica, mi pare di poter cogliere un importante aspetto sempre sul tema della fraternità, come stiamo provando a mettere a fuoco mese dopo mese. Non vi può essere fraternità autentica senza la preoccupazione vicendevole per la preghiera e, in definitiva, per la relazione che ciascuno intesse con il Signore. Che la fede non sia solo un intimismo ce l’hanno detto molti e in vari modi; ora però tocca prendere coscienza che il nostro essere fratelli dipende effettivamente dal custodire e nutrire reciprocamente lo spazio di relazione con Dio.
Senza voler per questo essere importuni e impiccioni circa la preghiera di chi mi sta accanto, tuttavia non posso, per esempio, pretendere dall’altro una tale quantità di servizi o un tale impegno che poi vada a discapito di un buon tempo di silenzio orante o di meditazione. Curare insieme la liturgia (dal decoro dei paramenti e vasi sacri al modo dei canti e della recitazione delle preghiere), esigere di essere introdotti in una conoscenza più approfondita delle cose di Dio, chiedere spazi e tempi comunitari di lettura della parola, adorazione eucaristica o altre forme di devozione, etc., deve essere desiderio di tutti affinché tutti possano trovarne beneficio.
Nella logica per cui amare richiede di spendere (a volte sprecare) tempo ed energie per stare con l’altro … e beh, se l’altro è l’Altro per eccellenza, tanto più dovremmo sentirci animati da grande entusiasmo nel poterGli essere più amici, più fratelli. Che bello sapere che il fratello che mi siede accanto nella panca della chiesa vive la sua preghiera anche perché io possa vivere bene la mia, di preghiera! Così che diventiamo, a poco a poco, comunità orante, fraternità autentica, casa di preghiera.
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