Dopo venti anni ad Affori ha aperto una libreria

L'entrata della libreria Alaska

L’apertura di una libreria già in tempo normali rappresenta una di quelle notizie che scaldano il cuore, figuriamoci in una fase storica come l’attuale, segnata dalla pandemia e da tutte le incertezze che contraddistinguono il nostro quotidiano.

Vedere aprirne una nuova nel nostro quartiere, lo scorso mese di dicembre, è stato come accendere una speranza, quella che la cultura e l’amore per la lettura ti sanno dare come pochi.

L’inaugurazione della libreria Alaska in via Carli, accanto alla vineria Fiasco, dove prima c’era un negozio di parrucchieri, non è solo positivo per coloro che amano leggere, lo è per tutta la nostra Affori, che dimostra vitalità, voglia di fare e soprattutto di puntare sulla dimensione sociale.

Lo staff della Libreria Alaska

Grazie all’apertura di Alaska, il nome del nostro quartiere è rimbalzato agli onori delle cronache dei quotidiani sia cartacei che online.
Proprio da un articolo apparso sulle pagine milanesi del quotidiano La Repubblica, riportiamo le parole di coloro che animano Alaska, i dieci amici che hanno voluto gettare il cuore oltre l’ostacolo. Tre di loro, Matilde Quarti, Alice Cucchetti e Pier Franco Brandimarte hanno raccontato a Repubblica come il sogno è diventato realtà:

“Siamo milanesi, per nascita o di adozione. Viviamo ad Affori e frequentiamo Fiasco. Guardando il salone della parrucchiera che c’era prima pensavamo: -Quanto sarebbe bello se lì ci fosse una libreria-. Poi il locale si è liberato. Abbiamo creato una cooperativa e, con un investimento iniziale di diecimila euro, abbiamo ideato Alaska” , spiegano.

La vetrina della libreria Alaska

L’obiettivo del 2022 di Alaska è ospitare eventi nella cantina che si trova sotto il bookstore, che sarà ristrutturata.

“Abbiamo scelto di chiamarla Alaska perché richiama Milano Nord e il quartiere in cui si trova. Una zona di confine, ricca di storia e d’identità, perché ci vivono persone provenienti da molti Paesi. C’è una forte presenza di cinesi e di arabi. La cosiddetta periferia è più interessante del centro, dove sono tutti uguali”, affermano i tre.

“Ci siamo dati cinque anni per capire se ce la faremo – proseguono – non è una scelta dettata dalle possibilità di guadagno. Abbiamo un approccio romantico a quest’avventura. Vogliamo essere un presidio culturale e un punto di ritrovo. Vogliamo dimostrare che non è vero che l’oggetto libro non interessa più a nessuno e che la cultura non si può proporre a certi pubblici”.

Da parte di tutta la redazione di Buona Parola
un grande in bocca al lupo per questa avventura così bella.

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