Scrittura e Scrittura : La domanda della sete

Chandra Livia Candiani

La domanda della sete

Di Chandra Livia Candiani, una delle voci più esotiche e mistiche della poesia italiana contemporanea, si sa molto poco. Si sa che è nata a Milano nel 1952. Si sa che, dopo aver studiato Filosofia in Italia, ha vissuto per diverso tempo in India, dove è entrata in contatto con il Buddhismo e la meditazione. Ha così anteposto al suo nome italiano Livia Candiani “Chandra”, termine sanscrito che indica la luna. Diventata maestra di meditazione, ha iniziato a tradurre testi buddhisti e a scrivere versi. Si sa anche che tiene gruppi di meditazione e di poesia.

Questo sappiamo, e poco altro. Però abbiamo le opere, e non sono poche: la critica definisce la sua poesia «tesa all’ascolto e al racconto dell’essenziale, spesso onirica e visionaria». Lei stessa afferma che la poesia «è la capacità di sognare la realtà che mi ha salvato la vita».

E poi c’è la serendipità. La serendipità è quell’incontro che ti fa scoprire qualcosa che non stavi cercando. A me è successo domenica 6 febbraio, quando come tanti ho guardato l’intervista a papa Francesco in diretta televisiva. E ho scoperto come le parole di Bergoglio si sposano perfettamente alle poesie di Chandra Livia Candiani. Se il discorso del pontefice fosse stato scritto, si potrebbe addirittura azzardare un trattato di letteratura comparata. State tranquilli, non arriverò a tanto: mi limiterò a qualche riflessione.

Il primo importante tema toccato dal papa è il rispetto per la natura e per il creato: abbiamo il dovere di vivere in simbiosi, in pacifica coesistenza con le altre specie e con gli altri regni: «Pensiamo di essere onnipotenti di fronte alla Terra. Dobbiamo riprendere il rapporto con la Terra dei popoli aborigeni, il buon vivere. Dobbiamo farci carico della Madre Terra». Sembra un consiglio scontato, eppure non riusciamo nemmeno a stare in pace tra di noi: «La guerra è un controsenso della creazione» ha ribadito con forza papa Bergoglio.

Chandra Livia Candiani sembra aver voluto mettere in versi la prosa di Francesco:

Custodite il giardino
voi betulle tu faggio rosso
custodite il nostro silenzio vegetale
l’intreccio radicale
il nostro fare stirpe
stando fermi,
sentinelle vigili
degli spazi tra i viventi
degli orli, dei vuoti,
delle forze nascoste dell’insieme,
tramiti segreti
di un ciclo più grande.
Siamo fratelli vegetali
io dietro i vetri vi chiedo
protezione e agguato
voi all’aria aperta
mi stringete
una promessa di ramo.

Il secondo punto riguarda il senso del tatto: «Di fronte alle tragedie, non basta vedere, bisogna sentire e toccare».

Dobbiamo toccare se vogliamo veramente entrare in con-tatto con il mondo e con l’altro: niente è potente come l’abbraccio, come la carezza per dare e ricevere amore. Per San Tommaso la nostra conoscenza comincia dai sensi: non possiamo conoscere l’amore senza il senso del tatto. Scrive a proposito la poetessa milanese:

Per primo viene il tatto
quando mettiamo una parola
al mondo. Invecchiando la pelle
diventa più sottile
perché aumenta il desiderio
di mistero, diminuisce
la paura di attacco.
È nuda su questa terra,
si sbriciola nel passaggio.
In lei la vita umana si consum
e poi si spegne o forse vola
fuori di lei, la lascia.

Il papa prosegue criticando il chiacchiericcio, da cui nascono «aggressività, guerre e divisioni». Anche in questo caso troviamo nella raccolta di poesie “La domanda della sete” (2016-2020) il corrispettivo lirico sulla forza benefica della voce che può trasformarsi in violenza:

La voce è il bosco del volto
tutte le mirabili cose
dell’universo sono nate
dalla voce.

Francesco si è poi soffermato sull’importanza dell’umorismo: «È una medicina. Io prego per avere il senso dell’umorismo, che ti fa gioioso, ti fa relativizzare le cose, ti fa tanto bene».

Già: la preghiera. Perché parte tutto da lì: «Pregare è quello che fa il bambino quando chiama papà, mamma: riconosce i propri limiti. Ma se non riconosci di avere un papà… Dio è padre, e noi lo chiamiamo papà. Quando ti abitui a chiamare papà Dio, stai andando bene nella vita religiosa. Se pensi che Dio sia quello che ti vuole bruciare nell’inferno, allora la tua religione è superstizione».

Anche Chandra Livia Candiani tratta questa tematica in una sua poesia, con l’intento di emanciparsi dalla “religione della paura”, che ha dominato per secoli nella nostra cultura:

E dopo il sogno, la notte vegliante
inchiostro buio senza segni.
Non temere, è la religione
della paura che ti sta dettando.
Abbandonala

E ancora:

Pregare è indicare,
come fanno gli alberi
come le onde e gli orizzonti
come un sorriso. […]
Pregare è salpare.

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