Scrittura e Scrittura: Averno

Louise Glück

Averno

Questo è il momento in cui vedi di nuovo

le bacche rosse del sorbo selvatico

e nel cielo scuro

le migrazioni notturne degli uccelli.

Mi addolora pensare

che i morti non le vedranno

queste cose su cui facciamo affidamento,

esse svaniscono.

Allora cosa farà l’anima per rinfrancarsi?

Mi dico che forse non avrà più bisogno

di questi piaceri;

forse già non essere basta del tutto,

per quanto sia difficile da immaginare.

Il conferimento del premio Nobel per la letteratura 2020 a Louise Glück – poetessa americana nata nel 1943 – è la dimostrazione che il mondo ha ancora bisogno di spiritualità e quando si trova di fronte a una voce potente e autentica è in grado di riconoscerla ed elevarla ai massimi onori. E questo, grazie a Dio, non è poco.

È costante, in Glück, l’analisi della contemporaneità più stringente all’interno di una dimensione mitica: come se nulla fosse cambiato con il trascorrere dei secoli, come se i problemi esistenziali degli uomini di oggi siano i medesimi che affliggevano i popoli dell’antichità.

Su questo modello è disegnato anche Averno, raccolta poetica pubblicata nel 2006, che richiama fin dal titolo – come molte altre opere dell’autrice – la mitologia: «Dal latino Avèrnus. Laghetto craterico a sedici chilometri a ovest di Napoli, che i Romani credevano fosse l’ingresso dell’oltretomba» recita l’esergo.

È questo il tema dominante delle poesie incluse nella raccolta: la morte. Come viene affrontata da noi vivi e che cosa ci aspetterà dopo.

Il metodo mitico di Glück abbraccia tutti i tempi e tutte le culture: il suo messaggio non è un messaggio cristiano, ebraico, islamico, buddhista o altro, ma un messaggio universale, dominato dal dubbio, dalle domande che ogni giorno l’uomo si pone di fronte alla morte, vista come fine di tutto o come nuovo inizio.

Questo non significa che i riferimenti biblici non siano presenti: Louise Glück è grande conoscitrice delle Sacre Scritture, così come dei grandi testi fondanti delle altre religioni, e i suoi versi si abbeverano di continuo al grande fiume la cui sorgente nasce all’origine della tradizione.

Cito solo un esempio per mostrare come la poetessa americana amalgama perfettamente il contingente con i grandi temi biblici. Nella poesia “Ottobre” scrive: «È di nuovo inverno, è di nuovo freddo, / non è Frank appena scivolato sul ghiaccio, / non è guarito, non si sono sparsi i semi primaverili / […] non è finita la notte, non era la terra / sicura quando è stata seminata / non abbiamo sparso i semi, / non eravamo necessari alla terra, / le viti, sono state vendemmiate?».

La parola “vite” è centrale in tutta la Bibbia: viene citata ben 141 volte. È un simbolo molto potente nelle Sacre Scritture: «La vite è un simbolo piuttosto importante. La troviamo, infatti, in molti passi delle Sacre Scritture, dove assurge a simbolo di benessere, fecondità e benedizione. Analizzando più da vicino la Bibbia, possiamo iniziare con un passo del libro dei Numeri. Qui Mosè invita all’esplorazione della Terra Promessa, la cui ricchezza e abbondanza è comprovata dal segno simbolico di un grappolo d’uva. La vite, pertanto, rappresenta la fecondità della terra donata dal Signore e preannuncia una vita di quiete e pace. Passando al Nuovo Testamento, la vite diventa un simbolo dello stesso Gesù, fonte della vita vera e autentica. Come un buon vignaiolo, sa potare i tralci secchi nel momento opportuno per prendersi cura dei frutti del suo lavoro. I tralci sono allegoria dei credenti, che se si staccano dalla vite, ovvero si allontanano da Cristo, si seccano e vengono bruciati. Se invece restano uniti a Lui, godono della linfa eterna e daranno frutto» (Silvia Alabardi).

Ed è proprio questo il rischio più grande che corriamo: «non abbiamo sparso i semi» ci dice Glück. E ci chiede, con quella virgola posta tra soggetto e predicato che accresce a dismisura il senso di angoscia: «le viti, sono state vendemmiate?».

«Io ti avevo piantato come vigna pregiata, tutta di vitigni genuini; come mai ti sei mutata in tralci degeneri di vigna bastarda?» è scritto in Geremia 2,21.

E poi, naturalmente, abbiamo la celeberrima parabola della vite e dei tralci che ci racconta Gesù nel Vangelo di Giovanni 15,1-11: «Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena».

Di fronte a questi versi, non possiamo che essere d’accordo con il critico José Vicente Quirante Rives quando scrive: «Glück compone le sue poesie sovrapponendo strati di significato che arricchiscono le possibili letture. Archetipo e vicenda personale si accavallano abolendo il tempo in una poesia dal tono autunnale che dà voce a chi conosce la brutalità del mondo e porta con sé la ferita che gliela ricorda impietosamente. […] È possibile scrivere la parola “anima” in una poesia del nostro tempo? Glück accetta la sfida. I versi di Glück scavano abissi nel guardare con grandi occhi la morte».

Sì, perché è dell’anima, in definitiva, che parlano le poesie di Glück. È fondamentale, per vivere, che anche la nostra anima sia viva. Noi moriamo quando muore la nostra anima (e questo è il messaggio più cristiano di tutti), come ci dice la poesia che dà il nome all’intera raccolta:

Muori quando il tuo spirito muore.

Altrimenti, vivi.

0 commenti

Lascia un commento

Segnaposto per l'avatar