Papa Francesco definisce la sua enciclica “Fratelli, tutti” una “Enciclica Sociale”.
Fu papa Leone XIII che, il 15 maggio 1891, pubblicò la “Rerum novarum”, cioè il testo con cui affrontava, dal punto di vista cristiano, le questioni sociali all’epoca più dibattute, respingendo la lotta di classe di matrice socialista, ma sostenendo le giuste rivendicazioni proletarie e riaffermando il principio secondo cui la proprietà privata è a servizio della libertà della persona e della famiglia, pur avendo una dimensione sociale anch’essa. Papa Pecci introduce anche il principio della sussidiarietà dell’intervento statale; riconosce il diritto all’associazione sindacale e chiede per tutti unsalario che assicuri il giusto sostentamento.
Nasce così la Dottrina Sociale della Chiesa, anche se questo nome verrà coniato in seguito da Pio XII, mentre lo stesso Leone XIIIparlava di “filosofia cristiana” e Pio XI di “dottrina sociale ed economica”.
Dal 1891 in poi, e spesso proprio per effetto delle encicliche sociali – cioè quelle che trattano problemi legati all’economia, al lavoro, alla politica e ai rapporti internazionali – la DSC acquisterà sempre più una propria fisionomia, per illuminare quegli stessi problemi con la luce del Vangelo.
Alla “Rerum novarum”, seguono le encicliche di 8 pontefici:
“Quadragesimo anno”, Pio XI (15 maggio 1931)
“Mater et Magistra”, Giovanni XXIII (15 maggio 1961)
“Pacem in Terris”,Giovanni XXIII (11 aprile 1963)
“Populorum progressio”, Paolo VI (27 marzo 1967)
“Octogesima adveniens”, Paolo VI (14 maggio 1971)
“Labor emexercens”, Giovanni Paolo II (14 settembre 1981)
“Sollicitudo rei socialis”, Giovanni Paolo II (30 dicembre 1987)
“Centesimus annus”,Giovanni Paolo II (1 maggio 1991)
“Caritas in veritate”, Benedetto XVI (29 giugno 2009)
“Laudato si’, Francesco (24 maggio 2015)
e, appunto, la“Fratelli, tutti”.
Una costante delle encicliche sociali è che spesso esse vengono pubblicate in occasione di anniversari “tondi” della Rerum novarum, quasi a riaffermare una continuità di magistero, pur nel mutare delle condizioni della società.
Questo vale ad esempio per la “Quadragesimo anno”, pubblicata a 40 anni dal documento di Leone XIII, per la“Octogesima adveniens” (80 anni) e per la“Centesimus annus”(100 anni).
Si potrebbero aggiungere all’elenco anche la“Divini Redemptoris” di Pio XI (19 marzo 1937) sugli errori del comunismo ateo e la “Fulgens radiatur” di Pio XII, del21 marzo 1947, anno in cui – ricordando i 1400 anni dalla morte di San Benedetto da Norcia – si presenta la sua regola (preghiera e lavoro) come possibile fondamento anche della vita civile. Giovanni Paolo II, poi, dedicò ai problemi bioetici legati alla vita umana la “Evangelium vitae”(25 marzo 1995) che ha inevitabili risvolti sociali.
Ognuna di queste encicliche segna un passo avanti nella comprensione dei problemi del mondo. E spesso
illumina profeticamente le questioni che tratta. Si pensi all’influenza che la ”Pacem in terris” ha avuto sul modo di intendere le relazioni internazionali in piena Guerra fredda, o alla“Populorum progressio”che annuncia:
“Lo sviluppo è l’altro nome della pace”.
Si pensi ancora alla rivoluzione del modo di intendere il lavoro, operato con la “Labor emexercens”,
ed alla denuncia dei pericoli e dei limiti del capitalismo contenuta nella ”Centesimus annus”, all’indomani della sconfitta del comunismo.
Nella “Caritas in veritate” si parla di un’altra economia, con regole etiche e con il riferimento all’economia del dono e, con la“Laudato si’”, per la prima volta si affronta in maniera sistematica il tema dell’ecologia integrale, cioè connessa con antropologia, economia, politica e modelli di sviluppo.
“ Fratelli, tutti” è per il momento l’anello più recente di questa catena.
Ma foriera , come i precedenti, di grandi sviluppi.
Papa Francesco richiama tutti noi cristiani a riflettere ed operare secondo le linee indicate dalla Dottrina Sociale della Chiesa.
Ed in particolare si rivolge ai giovani che rappresentano il futuro del mondo e della Chiesa.
Durante l’incontro con gli studenti delle Scuole dei Gesuiti, del 6 giugno 2013, ci richiama al dovere della partecipazione affermando:
“È il momento di abitare il sociale, il lavoro e la politica …”
“… senza paura di sporcarsi le mani”
“Noi cristiani non possiamo giocare da Pilato e lavarci le mani: non possiamo!”. Dobbiamo immischiarci nella politica, perché la politica “è una delle forme più alte della carità”, perché cerca il bene comune.
“I laici cristiani devono lavorare in politica, ma non è facile”. “Ma neppure facile è diventare prete.
Non ci sono cose facili, nella vita”. La politica “… è troppo sporca, ma io mi domando: è sporca, perché? Perché i cristiani non si sono immischiati con lo spirito evangelico? … è facile dire ‘la colpa è di quello’. Ma io, cosa faccio?” Lavorare per il bene comune, è un dovere di un cristiano! E tante volte la strada per lavorare è la politica. “Voi potete dare una mano ad aprire le porte sempre più nel cuore delle comunità e le finestre delle parrocchie, affinché i problemi della gente entrino”.
E prosegue, rivolgendosi ai giovani del Progetto Policoro della Cei, il 5 Giugno 2021:
“Non abbiate paura di abitare anche i conflitti”
“I conflitti li troviamo nel mondo, ma anche a livello ecclesiale e sociale.
Serve la pazienza di trasformarli in capacità di ascolto, di riconoscimento dell’altro, di crescita reciproca”.
“Serve appassionarsi”, perché “c’è uno stile che fa la differenza: la passione per Gesù Cristo e per il suo Vangelo”.
“E questo si vede nel “di più’”che mettete per accompagnare altri giovani a prendere in mano la loro vita, ad appassionarsi al loro futuro, a formarsi competenze adeguate per il lavoro”.
Il Progetto Policoro, ha aggiunto il Papa, “sia sempre al servizio dei volti concreti, della vita delle persone, soprattutto dei poveri e degli ultimi della nostra società”.
Ci si appassiona quando si ha cura della propria interiorità, se non si trascura la spiritualità, se si studia, se si conosce in profondità la dottrina sociale della Chiesa e ci si sforza di tradurla nel concreto delle situazioni,
“Non abbiate paura di prestarvi anche gratuitamente per risollevare la vita di chi è scartato. Il contrario della passione è la mediocrità o la superficialità, che induce a pensare di sapere già tutto in partenza e a non ricercare soluzioni ai problemi, mettendosi in gioco in prima persona”. Papa Francesco si rivolge a tutti gli uomini e al mondo intero, scosso dalla pandemia e lacerato da flagelli come le guerre e la povertà.
Ci esorta ad agire insieme, a “far rinascere tra tutti un’aspirazione mondiale alla fraternità”.
“Sogniamo – scrive – come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi”. Ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce: Fratelli, Tutti.
Di fronte a “diversi modi attuali di eliminare o ignorare gli altri”, l’invito del Pontefice è quello “di reagire con un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle parole”. Il Papa esorta ad “aprire vie di fraternità, ad andare al di là delle distanze dovute all’origine, alla nazionalità, al colore o alla religione”. Come ha fatto san Francesco nel 1219, quando ha incontrato il sultano Malik-al-Kamil in Egitto.
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