Il “peso” degli anziani

Per quelli della mia età, ci sono voluti 42 anni prima di avere la conferma di aver raggiunto il traguardo: La pensione”! Dal giorno dopo la data di “messa in quiescenza”, inizia il tempo del fare niente: finalmente! Dopo che si sono appesi al chiodo gli attrezzi della professione, si ha la sensazione di tirare i remi in barca. Il tempo si dilata nel far niente e si amplia sempre di più, fino a che ci si perde in questa immensità; ad un certo punto però, in chi ha lavorato per un così lungo tempo, si insinua la sensazione di essere una ruota che gira “a folle” e non produce “nulla”, dando ragione in un certo senso alla società dello scarto. Ma quello che si vive è un periodo diverso, diverso dai precedenti, da quello lavorativo e anche se l’inattività o le cose che si sono fatte hanno riempito il tempo, pur tuttavia, non regalano piena soddisfazione. Per alcuni è un’epoca della vita tutto da inventare, da immaginare, e invece per chi è afflitto da malattie croniche o sopravvenute diventa il tempo di nuova esperienza colma di amarezza e di tristezza, che rendono complicato persino compiere le normali cose che si eseguivano nel passato. Se poi, a seguito dei maltrattamenti che ti riserva la vita, ti viene portato via l’affetto più caro con il quale hai condiviso gran parte della tua esistenza diventa una pena infinita. E per come è fatta la società, gli anziani, poiché non più “produttivi”, sono un peso sociale da trascinarsi e mantenere!

Parlo degli anziani come una categoria a parte, ma io sono parte di questa categoria e non mi sento affatto una risorsa inetta, necessitante di assistenza. La mia esistenza è dedicata a chi mi circonda e, grazie al tempo di cui dispongo, posso frequentare di più: i nipotini, i figli che lavorano, la moglie (che ringrazio di avere ancora accanto), le attività di volontariato e non sono solo!! Tanti amici della mia età con i quali condivido lo stato di pensionato costituiscono la“società matura”, pronta spiritualmente e moralmente a dare un valore, uno spessore, l’esperienza, la saggezza e la pazienza accumulata nel tempo che sono il nuovo  patrimonio che gli anziani riescono a donare. E la società farebbe bene a risvegliare il senso di gratitudine, di apprezzamento, di ospitalità, che facciano sentire gli anziani parte viva della comunità, accogliendoli qualunque sia il loro stato di salute. La loro fragilità, la solitudine, le malattie, richiedono aiuto, che è la cosa più importante nel bilancio della loro esistenza e di quella della società. 

Ad ogni stadio della vita si associa un tipo di vocazione: al matrimonio, al presbiterato, alla vita consacrata o alla preghiera. E’ in tutti i casi la risposta ad una “chiamata” e quindi non escludo che al tempo dei capelli bianchi ci sia la vocazione della donazione della pazienza e la capacità di preghiera intima e di “familiarità” con il Signore. Avete mai notato la dedizione che gli anziani mostrano nelle poche cose che riescono a fare? I nipotini vengono educati a valori che sono i mattoni che hanno costruito la loro solidità nella fede. La preghiera, l’amore con cui prodigano consigli ai giovani. È una nuova “chiamata”. La stagione stessa che stanno vivendo è rivelazione di una vocazione. Non so se è vero oppure no, ma guardo agli anziani come dono del Signore.  

È difficile diventare o essere anziani? A questo quesito mi viene in mente la risposta che diede il nostro don Mario. Ringraziandolo per il suo indefesso servizio e per la resistenza pur in una condizione precaria, gli fu chiesto: “Don Mario dove si firma per arrivare così in gamba alla sua età?” La stupenda risposta di puro humor inglese fu: ”Basta aspettare, giorno dopo giorno si arriva a 89 anni!”. Ragazzi, lui ha donato se stesso e tutta la sua vita alla comunità. Anche a me, che lo vedo e lo frequento spesso, regala un’ occasione di crescita umana, autentica e matura.

La vita degli anziani ha una doppia esistenza, ad esempio: una è quella che considera cosa don Mario ancora sta offrendo agli altri con la sua esperienza, la sua pazienza e saggezza, 

l’altra è ciò che lui può ricevere dalla comunità. Tutti noi che apparteniamo alla Chiesa siamo chiamati a non pensare agli anziani con insofferenza, conformandoci così alla società dello spreco.

Abituarsi alla vecchiaia è difficile. Quando ero giovane vedevo i 60 anni di mia madre e di mio padre lontanissimi nel tempo! Ora non solo ci sono arrivato, ma ho anche superato quell’età e mi rendo conto che anche dopo i sessanta si continua ad essere uomini e donne, padri e madri, e non la categoria indistinta e generica dei “vecchi”. Ai miei settanta, mi rendo conto di quanto sono stati determinanti per me gli anziani che hanno vissuto nella mia stessa casa o hanno incrociato le strade della mia vita.

A questo proposito riporto due pensieri di papa Francesco espressi in due diverse udienze generali a conferma (se mai ci voleva) dell’importanza che rivestono gli anziani. «L’anziano non è un alieno. L’anziano siamo noi fra poco, fra molto, inevitabilmente e comunque, anche se non ci pensiamo. E se noi non impariamo a trattare bene gli anziani, così tratteranno noi» (PAPA FRANCESCO, UDIENZA GENERALE, mercoledì, 4 marzo 2015).

“L’anziano siamo noi”

«Il Signore non ci scarta mai. Lui ci chiama a seguirlo in ogni età della vita, e anche l’anzianità contiene unagrazia e una missione, una vera vocazione del Signore.

Diventiamo anche noi un po’ poeti della preghiera: prendiamo gusto a cercare parole nostre, riappropriamoci di quelle che ci insegna la Parola di Dio. È un grande dono per la Chiesa, la preghiera dei nonni e degli anziani! La preghiera degli anziani e dei nonni è un dono per la Chiesa, è una ricchezza! Una grande iniezione di saggezza anche per l’intera società umana: soprattutto per quella che è troppo indaffarata, troppo presa, troppo distratta. Qualcuno deve pur cantare, anche per loro, cantare i segni di Dio, proclamare i segni di Dio, pregare per loro!».[…] (PAPA FRANCESCO, Udienza Generale, Piazza San Pietro, mercoledì, 11 marzo 2015).

È bello pure il pensiero di un grande credente di fede ortodossa vissuto nel secolo scorso, Olivier Clément. Egli diceva: “Una civiltà dove non si prega più è una civiltà dove la vecchiaia non ha più senso. E questo è terrificante, noi abbiamo bisogno prima di tutto di anziani che pregano, perché la vecchiaia ci è data per questo”. È una cosa bella la preghiera degli anziani.

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