Guardare in una nuova direzione

Con il consueto stile, poetico e semplice allo stesso tempo, l’arcivescovo Delpini così ci parlava nella Veglia Pasquale dello scorso anno: «Alleluia! Celebriamo l’alba del primo giorno, l’inizio del tempo nuovo, giorno di nuove inedite parole, di nuove visioni degne di stupore e di esultanza. Alleluia! […] La nuova creazione, l’annuncio dell’alba del primo giorno ha questo di originale: l’annuncio risuona con parole di donne, Maria di Magdala e l’altra Maria. Donne di Pasqua, donne per parole apostoliche, donne per scuotere i discepoli dalla rassegnazione miscredente, del ripiegamento e dallo spavento. Donne per sperare, donne per edificare la Chiesa. Alleluia!». 

Tra queste donne che ci aiutano a costruire il nostro essere Chiesa – unico e ultimo riferimento di ogni discorso sulla fraternità interpretata cristianamente – non possiamo non citare Chiara d’Assisi. Usciamo dunque dalla cerchia dei rapporti maschili di Francesco per incontrare le sue relazioni con il femminile, rendendo così ragione della complessità e della ricchezza dei legami che si intessono nell’aspirazione al diventare fratelli universali. Per motivi di spazio, non è possibile qui se non balbettare appena qualcosa a proposito dell’alto spessore che ebbe la figura di Chiara e della densa amicizia che fu tra i due abitanti di Assisi. Provo a farlo recuperando anche alcune parole del card. Raniero Cantalamessa.

Anzitutto confermiamo l’importanza di fuggire il luogo comune dell’amore platonico, dell’innamoramento, che talvolta si immagina esserci stato tra Francesco e Chiara. Come ogni uomo, anche se santo, Francesco sperimentò il richiamo delle donna e del sesso. Le fonti riferiscono che per vincere una tentazione del genere una volta il santo si rotolò d’inverno nella neve. Ma non si trattava di Chiara! Tra Chiara e Francesco c’era certamente un fortissimo legame anche umano, ma di tipo paterno e filiale, non sponsale. Francesco chiamava Chiara la sua “pianticella” e Chiara chiamava Francesco “il nostro Padre”.

L’intesa profonda tra Francesco e Chiara che caratterizza l’epopea francescana non viene “dalla carne e dal sangue”. Con una nota espressione di Goethe, potremmo chiamare quella di Francesco e Chiara una “affinità elettiva”, a patto di intendere “elettiva” non solo nel senso di persone che si sono scelte a vicenda, ma nel senso di persone che hanno fatto la stessa scelta. Antoine de Saint-Exupéry ha scritto che “amarsi non vuol dire guardarsi l’un l’altro, ma guardare insieme nella stessa direzione”. Chiara e Francesco non hanno davvero passato la vita a guardarsi l’un l’altro, a stare bene insieme. Si sono scambiati tra loro pochissime parole, quasi solo quelle riferite nelle fonti. C’era una stupenda riservatezza tra loro, tanto che il santo veniva a volte rimproverato amabilmente dai suoi frati di essere troppo duro con Chiara. Solo alla fine della vita, vediamo questo rigore nei rapporti attenuarsi e Francesco cercare sempre più spesso conforto e conferma presso la sua “Pianticella”. Invece di guardarsi l’un l’altro, Chiara e Francesco hanno guardato nella stessa direzione. E si sa qual è stata per loro questa “direzione”. Chiara e Francesco erano come i due occhi che guardano sempre nella stessa direzione. Due occhi non sono solo due occhi, cioè un occhio ripetuto due volte; nessuno dei due è solo un occhio di riserva o di ricambio. Due occhi che fissano l’oggetto da angolature diverse danno profondità, rilievo all’oggetto, permettono di “avvolgerlo” con lo sguardo. Così è stato per Chiara e Francesco. Essi hanno guardato lo stesso Dio, lo stesso Signore Gesù, lo stesso Crocifisso, la stessa Eucaristia, ma da “angolature”, con doni e sensibilità propri: quelli maschili e quelli femminili. Insieme hanno colto di più di quanto avrebbero potuto fare due Francesco o due Chiara. 

Ecco allora che quelle caratteristiche relazionali proprie della fraternità che abbiamo passato in rassegna nelle scorse volte, le ritroviamo tutte anche dentro il legame tra i due santi: un’amicizia intensa e reale, posta in un orizzonte di grande discrezione e libertà, che si esprimeva nell’esortazione reciproca e nel proporre l’esempio di una fede vissuta nel quotidiano, che sapeva arricchirsi grazie alla ricchezza dell’altro. Chiara e Francesco forse ci aiutano ancora di più a mettere in luce quell’antidoto all’esclusivismo che talvolta rischia di inquinare le nostre relazioni: guardare a Dio insieme, in “alleanza”, anziché fissare lo sguardo sul fratello (o sulla sorella) che ci è donato. Ma non solo! Chiara, leggendo il suo testamento è evidentissimo, riconosce in Francesco un uomo che è stato fondamentale per il riconoscimento della sua personale vocazione di donna e di consacrata. Anche il fare memoria delle tracce di bene che gli altri hanno lasciato nella nostra storia diventa pertanto un’occasione per ritrovare il Cristo risorto operante nella nostra vita. Un Signore che non ci ha mai lasciati e che sempre ci accompagna, dall’alba di quel nuovo giorno, sulle strade del mondo vestendo il volto di fratelli e sorelle che camminano al nostro passo. Possa essere questo un gustoso frutto da assaporare e per il quale rendere grazie in questo tempo pasquale! 

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