Il cardinal Carlo Maria Martini: Radici e ispirazioni

Per il Cardinal Martini l’ascolto della Sacra Scrittura non ha nulla di meccanico o di magico nei suoi effetti: perché esso sia fecondo, occorrono alcune condizioni che «devono precedereaccompagnare e seguire la meditazione della Bibbia».

L’autenticità (o inautenticità) della religione dipende dal restare (o non restare) in relazione con il dono dell’amore di Dio che ci turba e ci libera.

Come ha luogo quel dono?

Il filosofo gesuita canadese Bernard Lonergan (1904-1989), non perdeva occasione di rinviare al suo passo preferito di san Paolo: «L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» 

Secondo il Cardinal Martini, profondo conoscitore della sua filosofia, la dinamica educativa della persona è caratterizzata da un’apertura che la conduce ad un incessante esodo da sé, che sollecita una continua conversione a diversi livelli:

«etico», che promuove una crescente capacità di impegnarsi per il bene in modo disinteressato e autentico; 

«religioso», che riguarda il riconoscimento dell’incomparabilità di Dio come frutto del dono della sua grazia;

«intellettuale», in cui matura una nuova consapevolezza cosa significhi la ricerca della verità.

Tale ricerca consiste in un processo, soprattutto interiore, perché la verità risiede nell’intimo ed emerge al termine di un processo che si realizza attraverso «lo sperimentare, il capire, il valutare e il giudicare, senza escludere il credere».

Questa conversione intellettuale conduce a riconoscere il valore sommo dell’interiorità.

Pertanto, secondo Martini, «non basta fermarsi ai contenuti del conoscere, del volere e dell’amare», ma, per cogliere la portata dell’intera dinamica interiore, «occorre che la persona sia presente a sé stessa nello svolgersi attuale di tali processi».

Il primato della coscienza nel suo senso più profondo si dispiega quindi quando il soggetto diviene consapevole e si appropria dei percorsi grazie ai quali «giunge a conoscere, volere e amare».

Il soggetto umano è in un cammino di crescita continua, in un dinamismo di sempre più consapevole percezione della propria articolata interiorità, che alimenta la sua capacità di correggersi e di agire con coraggio, autenticità e responsabilità.

Il cardinale aveva quindi una chiara cognizione di questo intento formativo e lo perseguiva con programmatica lucidità: egli stesso, impiegando il linguaggio paolino, lo sintetizza come cura e rafforzamento dell’«uomo interiore», che coglie il primato delle cose invisibili rispetto a quelle visibili.

Lo mostra la risposta data dal cardinale a chi gli chiedeva quale fosse il messaggio principale di Ignazio per il terzo millennio: «Mi pare che un dato emerga su tutti gli altri: quello del valore dell’interiorità. Intendo con questo termine tutto quanto riguarda l’ambito del cuore, delle intenzioni profonde, delle decisioni che partono dal di dentro».

L’interiorità, per Martini, «non è da intendersi come visione individualista chiusa su sé stessa, ma esprime il primato della coscienza nel suo senso più ampio e profondo».

Una prospettiva in cui assume valore primordiale «l’esperienza umana, aperta all’azione della grazia che, per il dinamismo da cui è abitata , conduce alla comprensione, alla verifica ed al consolidamento di certezze operative»

Assume allora un nuovo rilievo quanto il Cardinale dice sulla pratica dell’autorità, intesa appunto come «servizio che favorisce questa crescita dell’autenticità».
Una «autorità che non comprime le coscienze, ma le fa crescere, facendole conformare al modello del Figlio nella Trinità».
Perché questo è ciò di cui c’è bisogno nella Chiesa: «rispetto della persona, della sua autonomia e della sua intelligenza; attenzione alla singolarità della persona ed alla sua irripetibilità e incomparabilità ed alla sua debolezza».

«La vera paternità  – aggiunge Martini -, si esprime stimolando la maturazione della coscienza e della responsabilità del soggetto».Per il nostro arcivescovo la pratica della lectio divina «è un’esperienza fondamentale di formazione della coscienza, che promuove la capacità di decidersi per il bene da compiere qui e ora, interpretato come tale nella prospettiva del Vangelo».

È significativo che, in un suo discorso ai cappellani delle carceri, egli attribuisca alla personale coscienza dei colpevoli un ruolo centrale nel loro cammino di riabilitazione.

Rievocando il profeta Natan – che risveglia la coscienza di Davide prima di rimproverarlo per il suo peccato–, il cardinale precisa: «Per questo ci è detto di non giudicare e di non condannare. A noi spetta di aiutare l’uomo ad ascoltare il giudizio della propria coscienza: è un esercizio spirituale da proporre, da fare insieme nell’ascolto della parola di Dio e nel silenzio religioso».

Se un giudizio che viene dall’esterno suscita ostilità e ribellione, «al contrario, il giudizio della coscienza personale, è riconosciuto e accettato, almeno per qualche attimo, anche dal peggiore degli uomini. All’autorità della propria coscienza ci si sottomette più volentieri: si sottomette persino il ribelle, l’anarchico, il nemico di ogni norma e di ogni potere estraneo».

Ascoltando la testimonianza di don Luigi Melesi, cappellano nel carcere di San Vittore in quel periodo, ci si può rendere conto della validità della prospettiva evocata dal nostro cardinale.

Infatti, il neovescovo Martini scelse di iniziare le visite pastorali nella diocesi dal carcere di San Vittore. Non solo circolava nei corridoi, ma volle anche entrare nelle celle, in particolare per incontrare i terroristi.«Si è stabilito tra il cardinale e questi ragazzi detenuti,  – ha affermato don Melesi –,un feeling, una simpatia, direi proprio un’amicizia, una fiducia stragrande».

«Capisco – continua don Melesi – perché successivamente, quando abbiamo discusso a chi consegnare le armi, hanno proposto loro di consegnarle al cardinale Martini. Mi sono offerto come mediatore per questo disarmo e abbiamo raccolto quattro borsoni di armi: kalashnikov, pistole, bombe a mano, lanciarazzi, dinamite, proiettili».

Questo arsenale venne poi recapitato nella Curia arcivescovile, come gesto simbolico di rinuncia alla lotta violenta.

Tratto da: “Radici e ispirazione” di Carlo Casalone, docente di Teologia morale alla Pontificia Università Gregoriana

0 commenti

Lascia un commento

Segnaposto per l'avatar